Data la crisi attuale, più di uno sarà sorpreso di apprendere che la prosperità è chiaramente aumentata in tutto il mondo dal 1995. Con lo sviluppo fenomenale dell’Asia in particolare, più di un miliardo di persone sono uscite dall’estrema miseria nel corso degli ultimi venti anni. Oggi, circa 700 milioni di persone vivono ancora al di sotto della soglia di povertà (fissata dalla Banca mondiale a 1,90 $ al giorno, adattata al potere di acquisto). Questo rappresenta meno del 10% della popolazione del pianeta. Nel 1995, era il 32%. In Asia, la quota di persone che vivono in estrema povertà è scesa dal 42 al 10%; un’evoluzione in gran parte dovuta ai due giganti, India e Cina. In India, il tasso di povertà è passato dal 45% a meno del 15%, mentre in Cina è precipitato da quasi il 50% a meno del 5%. Considerando che 4,4 miliardi di persone, ben oltre la metà della popolazione mondiale, vivono in Asia, la ridistribuzione del reddito su scala globale è profondamente segnata dai cambiamenti avvenuti in questo continente.
In Africa, il progresso è stato finora meno importante. A causa del costante aumento della popolazione, il numero assoluto di persone che vivono in condizioni di estrema povertà è pure continuato ad aumentare a partire dal 1995 (da 340 a 380 milioni). Da un punto di vista relativo, tuttavia, la povertà è diminuita in modo significativo anche in Africa, passando dal 58% al 40%.
Differenze nel mondo
La seconda metà del XX secolo è stata caratterizzata da una distribuzione bimodale della ricchezza mondiale: da una parte un piccolo gruppo costituito dai redditi dei Paesi industrializzati; dall’altra (sotto la soglia di povertà), un altro gruppo, ben più consistente, dei Paesi in via di sviluppo. Nel 2015, questi due gruppi si sono riuniti. Tuttavia, sarebbe sbagliato parlare dell’emergere di una classe media globale. Un cinese deve ancora e sempre appartenere al clan dei ricchi nel suo Paese per far sì che la situazione sia paragonabile – in termini di potere d’acquisto – a quella di una persona della classe media europea.
Svizzeri poveri ricchi
Per la Svizzera, invece, è vero proprio il contrario: basta far parte della classe media all’interno della Confederazione per figurare tra i più ricchi del mondo (sempre in relazione al potere d’acquisto, adattato agli elevati livelli di prezzo nel Paese). Più precisamente un individuo che riceve un reddito mediano appartiene al 5% più ricco del mondo, mentre un reddito inserito nel dieci percento della fascia più elevata spinge anche il suo beneficiario nella fascia dei più ricchi al mondo. Inoltre, uno svizzero che ha un reddito nel 20% più basso distribuito nel Paese, ha comunque un potere d’acquisto più elevato di quattro quinti della popolazione mondiale.
Ovviamente, una persona che vive in Svizzera considerata “povera” dalle norme Cosas (Conferenza svizzera delle istituzioni dell’azione sociale), difficilmente sarà confortata dal sapere che è comunque tra il quinto della popolazione mondiale più ricca. In ogni caso, cercare di ottenere una migliore ripartizione della ricchezza elvetica – più equa possibile – non è e non sarà più utile per il tenore di vita di una politica che promuova la crescita in generale dei redditi del mondo.
La tassazione vantaggiosa
Molti cittadini sono convinti di vivere in un Paese in cui la tassazione è vantaggiosa. Secondo le statistiche Ocse, l’imposizione fiscale svizzera (26,6% nel 2014) si piazza effettivamente ben al di sotto della media. Tuttavia, questo eccellente risultato si spiega solo col fatto che non vengono presi in considerazione i contributi alla previdenza professionale, l’assicurazione malattia e l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni; tutti obbligatori. In altri Paesi, le prestazioni corrispondenti sono finanziate dal gettito fiscale.
Il calcolo dettagliato di tutti i prelevamenti effettuati mostra che la Svizzera non è un paradiso fiscale. Il punto di partenza di questa analisi è il reddito nazionale netto, che comprende stipendi, guadagni e tutti i contributi sociali (compresi quelli a carico del datore di lavoro e che per il dipendente sono una componente invisibile dello stipendio). Nel 2013, il reddito nazionale netto per ogni adulto domiciliato in Svizzera ammontava a 6’428 franchi al mese.
Circa la metà (3’197 franchi) è andata nelle casse di governo federale, cantoni, comuni e istituzioni di previdenza sociale sotto forma di imposte o contributi previdenziali. Le uscite sono quindi molto superiori a quanto indicato dalle statistiche Ocse. Si noti che in Svizzera, le imposte in quanto tali (1’600 franchi) contano meno della metà di queste uscite. In altre parole, i contributi alle assicurazioni sociali ormai eccedono le tasse, il che spiega la differenza significativa con la pressione fiscale riportata nelle statistiche Ocse. Se prendiamo questo calcolo come valore dettagliato di riferimento, la Svizzera non differisce significativamente da altri paesi dell’Europa centrale. Si caratterizza tuttavia per la concorrenza a livello federale: cosa che garantisce che lo Stato sia vincolato a una certa disciplina (come fornitore di servizi statali), così come il cittadino (“cliente” di questi servizi).
La redistribuzione dei redditi
Al contrario di quanto generalmente si crede, in Svizzera le differenze di reddito prima delle imposte e altri prelievi sono relativamente basse. Con un coefficiente di Gini (misura della diseguaglianza di una distribuzione) di 0,34 per la popolazione in età lavorativa, la Svizzera è il secondo Paese più equo, dopo la Corea del Sud, mentre la media Ocse si attesta allo 0,41. Con conseguente necessità di ridistribuzione inferiore rispetto ad altri Paesi. La progressione nel sistema fiscale svizzero non è molto sviluppata. Come sono contemporaneamente possibili una elevata pressione fiscale e una progressione fiscale piuttosto debole? Gli svizzeri pagano certamente ingenti somme in tasse, assicurazioni sociali e prelievi obbligatori, ma ne recuperano una parte considerevole in forma di prestazioni pecuniarie. Gran parte della redistribuzione non è pertanto effettuata tra ricchi e poveri, ma anche all’interno della classe media, tra le stesse famiglie. Tale sistema, in cui quasi tutti pagano e quasi tutti ricevono, inevitabilmente crea incidenti negativi, perché il divario tra responsabilità individuali e sociali aumenta.
In Svizzera, la classe media è molto meno sotto pressione rispetto agli altri Paesi. Eppure si sente perseguitata. Ciò può essere spiegato dal fatto che, a causa della bassa progressione fiscale, essa fornisce un contributo essenziale per il finanziamento delle prestazioni statali, ma ne beneficia nettamente meno rispetto alla classe più bassa. Una ridistribuzione più mirata, che prendesse meno dalla tasca destra per metterlo direttamente nella tasca sinistra, favorirebbe un sistema di prelievi e trasferimenti più efficiente.
La pressione fiscale
In Svizzera, le tasse e le spese legate alle assicurazioni sociali rappresentano circa il 50% del reddito nazionale netto. Questi prelievi finanziano le prestazioni statali (per esempio l’istruzione, i trasporti pubblici, la sicurezza), così come Avs, Ai, eccetera. Prestazioni che avvantaggiano sia i ricchi sia i poveri (la sicurezza garantita dallo Stato, ad esempio, ha un valore ancora maggiore per una persona agiata che per una persona svantaggiata), e i poveri sono lontani dall’avere l’esclusiva di Avs e Ai. Per quanto riguarda i prelievi, la progressione è debole. I contributi alla previdenza sociale sono quelli più progressivi (l’onere aumenta con l’aumentare del reddito, ma non le rendite). La Svizzera può “permettersi” una progressione complessivamente debole, dal momento che in materia di reddito primario – ante imposte –, le differenze non sono molto significative.
La prosperità sociale
Nelle società in cui vi è un alto livello di prosperità si è meno propensi a correre rischi. È certamente più una questione di risultati che una questione di preferenze. Delle buone condizioni di vita sono sufficienti a condurre una vita normale e piacevole; le persone che hanno il coraggio di osare hanno molto da perdere e poco da guadagnare. O almeno questa è l’impressione che si ha. Mentre negli Stati Uniti c’è una cultura di “Trial and Error” (tentativi ed errori), coloro che osano e non riescono sono spesso stigmatizzati in Svizzera, dove fa tendenza la modestia (e quelli che hanno successo spesso sono visti con sospetto).
Il problema sorge quanto ci si dimentica da dove viene la prosperità. Il recente dibattito sull’introduzione di un reddito di base incondizionato è un esempio eloquente. I sostenitori del progetto difendevano a spada tratta il concetto che il reddito di base non costava nulla perché il denaro necessario, in ogni caso, era disponibile in ogni modo. Il problema era sul modo migliore di utilizzare i fondi disponibili. Non è un caso che questa idea sia piaciuta in Svizzera, dove la prosperità viene data per scontata da decenni.
La percezione dei rischi
I sintomi di una società che sostiene il rischio zero si manifestano già oggi nel modo di educare i figli. Ad esempio, i genitori accompagnano i figli a scuola sempre più spesso in auto, anziché lasciarli affrontare da soli il tragitto a piedi. Se i bambini giocano soli nel bosco, i loro genitori saranno subito messi sul banco degli accusati (in senso letterale e figurato) se dovesse accadere qualcosa. Diventa più difficile insegnare ad un bambino ad assumersi delle responsabilità in giovane età e valutare i rischi che prende.
Il principio di precauzione implica che dobbiamo astenerci da qualsiasi azione fino a quando i suoi rischi non sono completamente identificati. Naturalmente è difficile valutare appieno i rischi di un loro agire, se questo non è consentito. Se il principio di precauzione è diffuso nella società e nella politica, non è tanto a causa dell’avversione al rischio in quanto tale, ma piuttosto a causa di una percezione distorta del rischio: in un sondaggio condotto in Germania (Rosling 2014), più della metà degli intervistati stima che ogni anno nel mondo il numero di morti a causa di disastri naturali è più che raddoppiato negli ultimi 50 anni. In realtà è diminuito di più della metà, e ciò nonostante la crescita della popolazione.
Attualmente, il terrorismo è oggetto di tutte le discussioni. Ma il grande problema del terrorismo non è nella messa in pericolo della vita o dell’integrità corporale. Negli ultimi decenni, la frequenza degli attacchi terroristici è diminuita, sia in Europa che in Svizzera. E lo stesso vale per il numero di morti. Ogni anno i fulmini uccidono più dei terroristi. L’onnipresenza dei media sugli atti terroristici provoca una paura latente che fa sì che le persone siano più disposte a sacrificare gran parte della loro libertà per guadagnare un po’ più di sicurezza (ipotetica). È qui che si nasconde il vero pericolo del terrorismo.
Negli ultimi decenni, le procedure di autorizzazione per l’immissione in commercio dei farmaci sono diventate più complesse e, purtroppo, molto più lunghe. Ciò è dovuto ai casi di decesso provocati da medicinali comunque autorizzati, che hanno ottenuto facilmente i titoli sui giornali. Le poche morti che potrebbero essere evitate attraverso un processo di approvazione più rigorosa sono sproporzionate rispetto ai molti decessi – che sono ovviamente non evidenziati dai media – causati dal ritardo nell’autorizzazione di un farmaco efficace.
Questo articolo è stato pubblicato nell'edizione del 10 luglio 2016 del settimanale «Il Caffè». Traduzione e adattamento di Ezio Rocchi Balbi.